Lungi da me voler esaltare la guerra, giusto rispolverare un po’ di letteratura d’avanguardia. Quella futurista, che vedeva nella guerra la “sola igiene del mondo”, come affermato nel celebre manifesto pubblicato il 20 febbraio del 1909 sul quotidiano francese Le Figaro.

L’arte ha la capacità di adattarsi a ogni contesto. Può rendersi veicolo – ne bene e nel male – delle istanze più controverse, a voler assoggettare la realtà, anche quella più tremenda e cruda della guerra, a sé. Il futurismo, lanciato da Filippo Tommaso Marinetti nel 1909, è stato, fra le altre cose, anche questo.

Una poesia del poeta futurista Paolo Buzzi, pubblicata nel 1908 nel volume Aeroplani. Liriche che esaltavano, oltre tecnologia e progresso, anche la guerra, come esercizio della vitalità umana ed eroismo. La poesia e la figura di Buzzi è stata attentamente analizzata attraverso l’importante lavoro di critica e ricerca Futurista al chiaro di luna – La poesia di Paolo Buzzi fra tradizione e avanguardia, di Elena Rampazzo. Edito da EUT Edizioni Università di Trieste, 2020.

Inno alla Guerra è una poesia forse “guerrafondaia”, ma imprime una chiara immagine di quel periodo, quello immediatamente precedente alla Prima guerra mondiale.

Oggi più che mai si parla di guerra. La si percepisce come vicina e possibilmente imminente anche per noi. Volgiamo uno sguardo a chi 113 anni fa esaltava la guerra attraverso l’arte, per comprendere gli errori del passato e i rischi del presente.


Inno alla Guerra, di Paolo Buzzi – dal volume Aeroplani, 1908.

Nei prati,
bimbo, adoravo fustigare l’erbe e tagliare la testa ai ranuncoli.
Liberi malleoli volevo,
ero un Mercurio che anelava eterno, de’ piedi, volare.
Sere divine di sangue
mi dilagavano sopra la testa. Stavo nel Mito di Marte.
L’anima mi s’abbeverò di quel vermiglio.
Mio padre accendeva i miei sogni scarlatti co’ suoi racconti magnifici di guerra tutti garibaldini.

O Guerra, perchè ci anneghittiamo ormai nella Pace?
Seduto sul cuoio della mia poltrona pacifica,
io odio. Questi versi ch’io scrivo
e sento, ahi! – spesso – orribili nello stridore,
sono della libidine omicidiaria che se ne va, patriottica,
e che nessuna ghirlanda di gloria incorona.
Vorrei gettare il mio canto
como l’Unno la picca contro i bersagli di carne,
E vorrei essere odiato a mia volta, molto bene odiato, come
dagli sposi la Morte ai piedi del talamo, sotto la luna di miele.
Odio è lussuria, più che amore. Potenza di brividi che nata sembra
da mille cuori d’un cuore, arde e propaga
la dolcezza freddissima o caldissima veementemente
per tutte le fibre dei muscoli bene tesi.
Lucidita della mente negli occhi, forza delle forze nel pugno:
io odio: e il mio corpo si tende all’innanzi,
mi si disegnano i fasci della bellezza erculea sulla efebea carne,
i piedi stampano l’orme della velocita ignuda
sull’arena piu tersa che specchio d’acqua montana.

La testa mi si riempie di musiche,
fanfare squillano per i silenzi delle mie cellule intese,
sogno una Patria diversa, più ріссola che vuol divenire
più grande:
Sogno una Bandiera diversa, tutta bianca da tingere
ad una vendemmia di vene trucidate.
Cammino a petto, a capo scорerto nel sole.
Нo scudo, ho casco d’oro:
mi dirizzo, dalla cintola, al volo fermo dell’aquile presso il Sole:
poggio i miei pugni sull’elsa d’una spada prolissa
come il diametro – e pallida- dell’Infinito.

Attendo la sfida e la provoco
in questa atmosfera di vili.
Soffiato ho spesso l’anima del dispetto e dell’ira
contro i cieli inerti d’azzurro
sognando la nuvola gravida livida balenante.

Mi nutrii di sogni tattici
e di farneticazioni logiste. Accese ho tutte le polveri
in tutte le canne d’acciaio più precise.
Saettai con la spada in mille ruote е punte di scherma
come alla figura di tutti i cuori umani, di tutte le stelle divine.

Ora ti canto, o Guerra, e mi sсaravento a morire.
Voglio pugnare salendo, pugnare sotto una cateratta di piombi mortali!
Solo, in testa a pochi amici, voglio distruggere nemici a milioni!

Falciare una folla briaca d’avversa ferocia, o volutta!
Trar delle fonti sorgive di rosso fin all’esausto breve,
bagnarmi a tutti gli zampilli caldi,
nutrirmi nel brivido omicidiario рer una campagnа di garofani
uccidere nudo! Ed essere, ucciso, vestito d’un’onda!
Il sangue è la sindone dei Poeti!

Sogno una morte che l’atto sia d’una grande vita,
con giovinezze, сontra giovinezze, lunge – oh, lunge!
dai sudici frangenti del pane quotidiano
dagl’infecondi e gretti piumini della casa,
sovra la terrа nuda ma vasta e tutelata unica dal cielo.
So, madre mia, che la penna, dal foglio,
punge ed avvelena il tuo cuore scrivendo questo canto.
So che s’io te lo cantassi a voce alta, questa sera,
ti scoppierebbe d’angoscia il seno
e il tuo letto sarebbe la tua tombа,
il tuo sonno la tua morte! Non bасeresti baciata pіù!

Мa son feroce e canto e stringo il mio canto a restare.
Uscir m’è forza dal regno cattivo della noia.
Vorrei rifarmi una bonta nel bagno di porpora.
Vorrei sapere se veramente sono un cadavere mobile perduto.
Bisogno avrei di rassegnar tutto solo un esercito di cadaveri fermi!

Più пon mi bastan le tombe: ho letto
ogni epigrafe, veduta ogni statua. Mi nauseano.
Oh poter leggere la vita afrodisiaca d’ognuno
in viso alla morte spasmodica d’ognuno!
Camminerei attento, lucido, pallido, senza tremare
cercando i morti rossi fra l’erbе
come i papaveri сapricciosi d’una estate.

Io palpo la schiena alle nuvole,
io balzo in groppa alle nuvole,
io voluttuosamente cavalco le nuvole,
gli uragani son le mie pazze prove belligere.
Aspiro I’odor divino delle piriche
traverso le caligini color del nitrato e del carbonio.
Ogni lampo è una mia spada d’oro che si spezza.
Ogni tuono è il galoppo che brontola lungo e zoссoluto degli squadroni.
Ogni folgore è la cannonata che libera i mondi.
La pioggia che scroscia, gocciole di sangue a chiliadi.

Che è la vita se non un capitombolo vario dentro la morte?
Io сerco di bere l’etereo incanto, l’elettro
del volo, dell’urto, del rombo che m’empia di musica i sensi!
Testardo amico delle solitudini diaboliche,
io сerco d’uccidere i molti nellа moltitudine,
io strilolo carni come il caos stritola soli.
Mi faccio, intorno, un cielo d’asteroidi,
nella fornace vermiglia coloro il mio spettro
dei colori di Marte pianeta le notti di vento convulso.
O Guerra! Il mio sogno è d’uscire per la tua porta рelasga
all’infinito Mondo dei Liberi
che mi proclami Re!

E’ гosso il mio Mondo: la terra пuda è un’ocra ossidata di ferro
i prati, su zolle di risagallo augusto,
sfoggiano I’erbe di càrtamo, i fiori di talco e d’ipericо e di lacca:
i fiumi riversano ai mari
liquori di robbia e vetriolo ed arsenico:
i monti tracciano arene vastissime d’ancusa e di cinconico:
le selve brulicano di cocciniglie:
il cielo ha la serenita d’un bicromato di potassa,
la nuvolaglia d’un biossido di mereurio.
Tutto ciò fa un bel precipitato vermiglio, o Pittori,
per cui la guerrа scarlatta s’allarga e divampa
sopra la tela del mio Sogno rinchiuso.

Gli amori gettanо antere di corallo e di rubino
su fino agli astri che imitano Marte uno a miliardi.

Ogni palpito di stella
è come un gran cuore che scoppi nel сolor suo più sincero.
La bellezza del Mondo e fatta di muscolo scuoiato:
le bocche si сегcano quasi enormi scintille rotonde, buche:
le lingue si sposano nei loro rosolii d’alkermes:
gli amplessi aggroppano forme di macello fumanti:
le voluttà trasudano semenze di tinta carmina
e mandano l’alcove l’effluvio formidabile
delle ghigliottine non ancо lavate.

Essere, come il Dio, micidiale! Fiaccare, distruggere
attiguo e lontano!
Datemi la mitragliera perfetta dell’avvenire
o le diecimila spade brandite da braccia romane!
Datemi il gramma di polvere che la favilla tocca e la Morte saetta,
Datemi il ferro che guizza in mano alla furia
e, biscia d’argento, сerca la tana rossa dove lasciva sparire!
Clave, mazze, dardi, bipenni, aste, pili, turcassi,
alabarde, colubrine, bombarde, сannoni,
obici, bombe, fucili, seiabole, baionette, mitragliatrici,
armi, armi, armi,
oh bandite dal necessario bellissimo cerchio energico della Vita,
tornate alle mani degli uomini
che non altro più sanno se non coltelli, forchette e cucchiai
al сеrchio ignavo della tavola!
Vielate, o Leggi, le cacce vigliaсche agli uccelletti!
Тornin le Crypthie magnifiche degli Spartani!
Parta, sull’albe, ogni uomo
pel bosco, a caсcia d’uomini!
Rischi di colpire e d’essere colpito, avanti sera!
Scoppi la Terra come a un ventre caldo un Uovo!

O Guerra! E dovro morire in un letto,
гosso – fors’anco – d’una mascherata di Viatico:
io che amo quei rossi di sangue profusi:
io, dentro una camera angusta
dove anche Iaria e comprata:
io, che aborro i campanelli sagristi ed amo le trombe
squillanti lunghe nei suoni che сеrcano i cieli
che gettan le febbri del volo ascendente alle vene:
io, che amo i galoppi equestri e i lampi d’acciaio:
io, che amo i vortici fragorosi delle ruote di carro,
io, che amo tutte le tempeste sotto tutti gli uragani!
O Guerra! E dovrò morire, per volonta della Morte
non per volere mio!
E dovrò lasciare сon gli occhi una Рatria sempre l’uguale,
la Patria dei travicelli,
non crear del mio spasimo, nell’agonia carnefice bella,
la Patria novissima,
la Patria degli Eroi!

O Guerra! Fa che almeno sulla mia tomba
venga piantata, un giorno, qualche bandiera!
Fa che su quella, un’ora, incrocin due lame d’odio valenti,
che due cuori trafitti dian sangue
e che dal sangue nasca una messe di Rose de Bengala!
Fa che traverso і miei sonni profondi
rimbombi qualche bellissima eco postuma artigliera!
O Guerra! Fa ch’io non m’addorma vivo in questa terribile ignavia:
fa ch’io, morendo, speri ed esulti alla speranza
di risvegliarmi agi Astri
sol per la legge dell’ecatombe eterna!

O Guerra! E se tu non m’avrai
divino alunno in questa vita, in un’altra
(eredo, tra’ vortici sanguinei del mio Sogno,
un’altra vita, spesso e non la eredo) fa, o Guerra,
ch’io rinasca Guerriero, in suono di oricalchi!
Fa che il mio canto d’oggi
mi prepari un’Anima di Cesare
sul cavallo schiumante in corsa dell’Avvenire!

Fa ch’io riveda la luce sulla cima d’un Popolo,
di due Popoli grandi terribilmente in armi l’altrо сontra l’uno!
Fa ch’io mi sappia, al fine,
Io, Gladiatore sottilissimo
ora vinto e vestito di pannо
in questa vita dai fiacchi borghesi ambigui,
la Vittoria strepitosa, un giorno, altrove, in un cielo,
fra un cerchio di milizie nude ed eroiche,
Io, figlio degli Eroi più nudi e pіù fantastici,
Imperatore e Pontefice pronto al Suicidio.

 

Paolo Buzzi
Paolo Buzzi

 

L'Antikulturale

L’ANTIKULTURALE è un ingranaggio alimentato dalle contraddizioni della società contemporanea. Con un format svincolato dai canoni dell’informazione tradizionale vogliamo raccontare attraverso l’attualità e l’arte un mondo diverso dove le convezioni sociali vengono rovesciate.

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