Giovanni (nome di fantasia) è un signore che non è molto aperto nei confronti della diversità degli altri. Crede che il suo parametro di giudizio sia l’unico possibile, e lo applica su tutti coloro che sono diversi da lui. Un giorno trova un bel lavoro presso un’azienda privata. La quantità del profitto, come tutti sappiamo, è in estrema sintesi data da quanto più efficientemente ed economicamente vengono serviti i consumatori (i clienti) nel mercato dei beni e dei servizi.
Un bel giorno gli si presenta una cliente transgender. A Giovanni non piacciono molto le persone diverse, ma in questa situazione si trova al lavoro e non al bar con gli amici. La cliente sorride, è interessata a uno dei servizi che l’impresa per la quale Giovanni lavora offre, e vuole più informazioni in merito. A quel punto Giovanni dovrà decidere su due azioni possibili.
La prima, comportarsi in modo irrispettoso nei suoi confronti, scegliere di attribuire alla cliente il pronome sbagliato sapendo che lei si senta offesa, vada via, e scelga l’azienda concorrente, con conseguente perdita del profitto e del cliente.
La seconda, scegliere di avere un atteggiamento gioviale verso la cliente, darle il pronome nella quale la cliente si sente identificata, tradendo le sue pulsioni discriminatorie in favore dell’incasso del profitto e la contentezza del suo manager.
Quale azione Giovanni sarà incentivato a intraprendere? Nella prima ipotesi, Giovanni avrà qualcosa da perdere: una cliente e il conseguente profitto, e l’eventuale fiducia del manager nei suoi confronti. Nella seconda, sostanzialmente non avrà nulla da perdere se non il pregiudizio. Otterrà una cliente in più e il profitto che ne deriva. Siamo, in questa ultima ipotesi, di fronte a un cosiddetto equilibrio di ottimo paretiano, perché entrambi ci guadagnano e nessuno ha l’incentivo a cambiare la propria azione. La persona trans otterrà il servizio, sarà rispettata e soddisfatta, Giovanni otterrà, come abbiamo detto, la cliente e il profitto, l’approvazione del manager per il profitto in più raggiunto. Nessuno ha l’incentivo a deviare dalla propria scelta.
Ora ipotizziamo una situazione analoga. Giovanni è lo stesso Giovanni del racconto precedente, ma questa volta è un dipendente pubblico.
A Giovanni non interessa del numero delle persone che servirà col suo lavoro, perché il suo salario è fisso rispetto al numero dei clienti. Un cliente in più da servire, per Giovanni equivale semplicemente a carico di lavoro in più. Giovanni ha il posto fisso. Se lavora male sa bene che non sarà facile mandarlo via.
Un giorno, la stessa ragazza transgender le si presenta al bancone. E’ interessata ai servizi che l’impresa pubblica offre. A quel punto, Giovanni avrà sempre due scelte.
La prima, scegliere di non rispettare l’identità della ragazza, mostrandosi scortese e attribuendole un pronome non suo, con conseguente perdita della cliente, ma non dei suoi guadagni, perché il salario è fisso ed è deciso da un’ennesima commissione di scribacchini e burocrati pubblici.
La seconda, scegliere di rispettare la cliente, la sua identità di genere e l’utilizzo dei pronomi con i quali si identifica, nonostante il suo forte pregiudizio, tradendo la sua coerenza senza ottenere nulla in cambio.
In questa situazione, invece, quale sarebbe l’azione che Giovanni sarà portato a intraprendere? Nella prima ipotesi, Giovanni si sbarazzerà di una cliente in più, lavorerà di meno a fronte dello stesso salario, non ci sarà nessun manager ad essere scontento di un cliente in meno, perché il salario dei manager pubblici è svincolato dal profitto raggiunto. La cliente non avrà problemi a trovarsi un’altra impresa che le offra gli stessi servizi rispettandola. Ancora una volta, in questo caso, siamo di fronte a una situazione definibile come ottimo paretiano, ma l’equilibrio riporta a una condizione completamente differente: se Giovanni discrimina, almeno uno dei due ci guadagna e nessuno ci perde. Che incentivo avrebbe invece, in questa situazione, Giovanni a mettere in discussione i propri pregiudizi scegliendo la seconda ipotesi?
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