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E’ il 24 luglio 1993 quando l’avventura italiana di Herbalife subisce una brusca frenata. Un’avventura cominciata poco meno di un anno prima, e che in sei mesi aveva fatturato all’azienda circa 29 miliardi di lire. Ad imporre il ritiro temporaneo dal mercato di una parte delle confezioni era stato il Ministero della Sanità (guidato da Gravaglia), che aveva riscontrato l’assenza delle necessarie autorizzazioni per i prodotti. All’epoca il ministero predispose anche un intervento dei NAS, in modo da controllare se quanto dichiarato sulle confezioni corrispondesse al vero.
Ormai di queste vicende non sono rimasti altro che vecchi articoli in qualche archivio di agenzie di stampa. Oggi Herbalife viaggia a vele spiegate, forte di una serie di sponsorizzazioni che, nel nostro paese, contano la FIN, la campionessa dei tuffi Tania Cagnotto, la MPS; a livello internazionale, sportivi come Lionel Messi, squadre come Barcellona e Valencia.
Come mai tanto interesse per una multinazionale che in fin dei conti si occupa solo della distribuzione di integratori alimentari e supplementi dietetici?
Una risposta potrebbe arrivare da alcune dichiarazioni di Robert Furchgott, che ha gettato ombre sul lavoro svolto, come consulente Herbalife, dal collega Louis Ignarro (entrambi vincitori nel 1998 del Premio Nobel per le scoperte sulle applicazioni dell’ossido nitrico nel sistema cardiovascolare).
Lasciamo per adesso da parte questi personaggi, e andiamo con ordine, cominciando dall’inizio.
Herbalife nasce nel 1980 da un’idea di Mark Hughes. Già nel 1982 l’azienda oltrepassa i confini nazionali “invadendo” il mercato canadese. La quotazione al NASDAQ è del 1986.
Secondo i prospetti presentati nel 2010 ha raggiunto i 2,7 miliardi di dollari di vendite nette, è presente con i propri prodotti in 75 paesi e conta una rete di circa 2,1 milioni di distributori indipendenti nel mondo.
Il metodo di distribuzione è il cosiddetto multilevel marketing (MLM). Esso permette a un distributore o venditore di crearsi una rete di propri distributori che si rivolgono direttamente al consumatore, senza la presenza di punti vendita o simili.
Herbalife non chiede ai distributori indipendenti una preparazione in campo medico. La legislazione italiana non definisce esplicitamente il MLM, permettendo così a molte aziende di lavorare in una sorta di “zona grigia”. La legge n.173 del 17 agosto 2005 ha reso illegali le forme di vendita piramidali (le cosiddette catene di Sant’Antonio), nel configurarsi di soggetti giuridici che obblighino i distributori reclutati ad acquistare dall’impresa quantità di prodotti senza diritto di restituzione o rimborso. Va comunque sottolineato come Herbalife sia attualmente conforme alla legislazione italiana.
Negli Stati Uniti l’azienda di Hughes è salita agli onori della cronaca già nel 1986, quando venne portata in tribunale in base alle accuse mosse dalla Procura Generale dello Stato della California, secondo le quali Herbalife aveva fornito false dichiarazioni mediche ed aveva organizzato un sistema di marketing piramidale illegale. Tutta la vicenda era partita da un’indagine di 5 mesi promossa dal Senate Permanent Subcommitee of Investigation, che mirava a comprendere meglio i meccanismi e le dinamiche che giravano intorno al mondo dei prodotti dimagranti. La relazione finale venne esposta in aula il 14 e 15 maggio 1986 dal presidente del sopra citato sottocomitato William Roth, nel corso della quale vennero ascoltate anche le testimonianze di scienziati e utilizzatori di prodotti dimagranti.
Il nome dell’azienda di Inglewood saltò fuori dall’ analisi condotta da Varro Tyler (professore di farmacognosi) su alcuni dei suoi prodotti. Il prof Tyler riscontrò che alcuni prodotti Herbalife avrebbero potuto essere pericolosi, e in alcuni casi tossici in determinati individui. Le descrizioni fornite nelle etichette e suoi dépliant risultavano essere spesso non vere, e inducevano il consumatore a credere che i prodotti contenessero erbe meravigliose con straordinarie proprietà salutari, mentre in realtà le quantità presenti non erano tali da configurare effetti significativi nelle persone.
In particolare, nella confezione denominata “Herbal-aloe”, vennero riscontrate la presenza di consolida e chapparel. La consolida è conosciuta per i suoi effetti cancerogeni (nei test condotti sui ratti è stato dimostrato che provoca tumori maligni al fegato). La chapparel è famosa invece per il suo principio attivo, l’acido nordiidroguaiaretico (NDGA), conosciuto perché provoca danni renali nei ratti. Diverso è il caso della confezione denominata “Tang Kuei”, dove sono state trovate tracce di dong quai. Il dong quai è una sostanza utilizzata nella medicina tradizionale cinese, ma che (all’epoca) non era stata testata con standard occidentali. Inoltre, il Tang Kuei, essendo catalogato dalle leggi federali come “nuovo farmaco non approvato”, era considerato illegale negli Usa.
In conclusione, il prof Tyler affermava che i consumatori spendevano cifre molto alte per i prodotti Herbalife, il cui reale valore non era dimostrato.
Le considerazioni addotte dal prof Tyler furono le stesse cui giunse Xavier Pi-sunyer, il quale ne fece un punto di partenza per esaminare un altro aspetto della questione: quelli delle persone che erano ricorse all’utilizzo di questi preparati per perdere peso. Secondo il dott. Xavier : ”In presenza di calo ponderale rapido, e in particolare nelle diete povere di carboidrati, si verifica una diuresi iniziale, vale a dire una perdita di acqua attraverso le urine. Ecco perchè le diete d’urto portano a forti cali di peso, ma gran parte dell’acqua persa viene riaccumulata quando si interrompe la dieta”.
Il dottore aggiunse che, poiché chi si mette a dieta desidera continuare a perdere peso, potrebbe esserci la tendenza ad assumere soltanto preparati senza integrarli con un pasto normale.
Inoltre riferì l’analisi condotta dal collega Van Itallie, che esaminò i dati delle vittime delle diete proteiche liquide tra il 1977 e il 1978 “Più si è magri e più queste diete sono pericolose; quanto più è probabile che si perdano proteine che richiedono liquidi, tanto più si rischia di morire. Poiché questi preparati si acquistano senza restrizioni, vengono assunti anche da molte persone che non sono eccessivamente grasse, le quali sembrano particolarmente a rischio”.
Tristemente esplicativa fu la vicenda di Bivian Lewis Lee, ex giocatore della Football National League, morto nel 1984. A raccontarla, la vedova Cynthia, seduta al banco dei testimoni. La signora ricordò che nel 1984 il marito era diventato distributore Herbalife e ne avesse anche cominciato l’assunzione, nonostante fosse in perfetta salute. Nel giro di 2 settimane Bivian morì. Il dott. Van Itallie, dopo aver esaminato i documenti dell’autopsia, concluse che le sue tesi si potessero collegare a questo caso, in quanto “l’indice di massa corporea di Lee indica che le sue riserve di grasso erano molto scarse”.
L’udienza del 15 maggio fu il giorno della testimonianza del presidente di Herbalife, Mark Hughes.
Come nella migliore delle tradizioni, Hughes venne accompagnato in aula da una schiera di funzionari, consulenti aziendali e avvocati.
Seduto al banco dei testimoni, Mark Hughes iniziò il proprio intervento ricordando come la nascita dell’azienda fu dovuta al contesto familiare in cui si trovava, nel quale praticamente tutti i componenti della famiglia avevano avuto problemi di peso. Ma la vera “scintilla” venne dalla morte della madre, che da tempo faceva uso di prodotti dimagranti perchè ossessionata dall’idea di perdere perso.
Prima di lasciare la parola al consulente dell’azienda dott. Katzin, Hughes tenne a sottolineare che egli “dava il benvenuto all’opportunità di prendere parte allo sforzo del sottocomitato per informare il consumatore americano sui prodotti privi di valore che minacciano la reputazione delle aziende serie”. In difesa delle “aziende serie”, il dott. Katzin presentò una serie di diagrammi e grafici nei quali, in particolare, mirava a sostenere come circa il 40% delle persone che avevano usato Herbalife risentirono dei cosiddetti “effetti collaterali transitori” (su uno campione selezionato di 428 utilizzatori). Il senatore Rudman cominciò a fare domande sia a Katzin che a Hughes. Dal confronto emerse la posizione di uno dei capisaldi dell’azienda, il dott. Marconi.
Il dott. Marconi aveva ottenuto una laurea in medicina per corrispondenza presso la Donsbach University (Huntington Beach, California), una scuola non riconosciuta. Le dubbie credenziali di Marconi erano già venute fuori da un’inchiesta condotta in passato dalla CNN, che aveva rivelato come nessuna ricerca sull’efficacia dei prodotti Herbalife veniva condotta, prima che questi entrassero in commercio, dallo staff di ricerca guidato da Marconi. Alla domanda, posta da Rudman a Hughes, se questi fosse a conoscenza delle false credenziali del dottore, egli rispose “no, non lo sapevo… Il dott. Marconi è uno degli uomini più brillanti che conosca”.
In seguito, il senatore iniziò a concentrare le proprie domande sui primi manuali di informazione messi a disposizione dall’azienda per i distributori. In uno di questi, denominato “Herbalife’s official Career Book”, erano contenute affermazioni che sostenevano come i prodotti dell’azienda curassero il cancro, l’artrite, la bronchite, l’enfisema, la cancrena e molte altre gravi patologie. Dalle risposte di Hughes venne fuori che queste informazioni erano state copiate da altre riviste in cui gli autori facevano considerazioni sui prodotti Herbalife. In pratica, chiunque parlasse bene di Herbalife era buono per la pubblicità dell’azienda.
Questo “comportamento” si riscontrò anche per quanto concerneva i le vendite televisive, nelle quali intervenivano persone che sostenevano di essere state guarite dal cancro grazie ad Herbalife. Prima di lasciare ad altri la parola, il senatore Rudman pose l’ultima domanda a Hughes. “Non crede che vi dovreste dare una ripulita?”. “Credo dovremmo. E stiamo cercando di farlo proprio ora”, rispose. Sulla base delle testimonianze addotte e dei dati raccolti, Herbalife venne condannata a pagare una multa di 850 mila dollari e ad ottemperare ad un elenco di restrizioni ordinate dalla Corte a proposito di affermazioni e pratiche commerciali.
La cattiva pubblicità procurata dal caso portò ad una calo delle vendite, ma l’azienda sopravvisse.
A proposito di pubblicità. L’ultimo “grande scandalo” (in ordine temporale) è stato quello che ha investito, nel 2004, uno dei fiori all’occhiello di Herbalife: Louis Ignarro. Ignarro è professore emerito di farmacologia dell’università della California (UCLA).
Nel sito internet di Herbalife viene snocciolato tutto il curriculum del Premio Nobel, sottolineando la reciproca soddisfazione per una collaborazione ormai quasi decennale. Uno dei prodotti di maggior successo cui ha lavorato il professore insieme ad Herbalife è il Niteworks, un integratore alimentare per il cuore. Per pubblicizzare maggiormente il prodotto, venne registrato un video di un’ora nel giugno 2003 nel quale Ignarro affermava che Niteworks, nato dalle sue ricerche sulle funzioni dell’ossido nitrico, proteggeva da malattie cardiache, ictus, morbo di Alzheimer e altro.
L’accordo con Herbalife sancì che il professore avrebbe ricevuto l’1% delle vendite nette del prodotto. Al momento dell’uscita sul mercato Niteworks si poteva acquistare al costo di 90 dollari. Nel gennaio 2003 Ignarro creò una società di consulenza (la Healtwell) insieme a David Brubaker per ricevere gli introiti derivanti dal prodotto che, solo nel periodo dal giugno 2003 a settembre 2004, furono circa 1 milione di dollari. In seguito, in un articolo apparso sulla rivista Proceedings National Academy of Sciences, il professore parlò dei test condotti sui topi, ma senza accennare al suo ruolo di consulente Herbalife.
Molte persone che hanno esaminato il caso hanno rilevato un palese conflitto di interessi. ”E’ un consulente pagato, avrebbe dovuto comunicarlo. Egli aveva un interesse per la sostanza che stava valutando” questo secondo Marcia Angell, docente di etica presso la Harvard Medical School. Louis Ignarro non ha mai voluto rispondere alle accuse mosse nei suoi confronti.
La rivista su cui scrisse l’articolo decise in seguito di pubblicare una smentita, nella quale affermava che non erano stati utilizzati i fondi dell’UCLA per condurre i test del Premio Nobel.
Sulla questione si espresse anche il collega e co-Premio Nobel Robert Furchgott nel corso di un’intervista. “Non ho visto alcuno studio adeguatamente controllato. Penso che il modello murino non sia trasferibile sugli esseri umani. Penso che con il denaro che stanno rastrellando (Herbalife, nda), avrebbero potuto fare alcuni test sull’uomo”. Robert Furchgott rilevò anche le sue perplessità riguardo il fatto che delle affermazioni non comprovate venissero utilizzate da Herbalife per vendere prodotti al pubblico. E il rammarico per un collega prestatosi a quel tipo di “dimostrazioni”.
“They jumped the gun” fu una delle espressioni che utilizzò per sottolineare tutto il proprio disappunto. Non solo loro, ma anche chi gliel’ha permesso.
di Marco Graziani
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